Negli Stati Uniti, la flessibilità del quadro normativo favorisce una forte integrazione del private equity, mentre in Europa un approccio più cauto ne ostacola lo sviluppo. Di conseguenza, il Nord America rappresenta il 65% del volume globale delle transazioni di private equity, rispetto ad appena il 22% dell'Europa - una situazione spiacevole per gli europei alla ricerca di investimenti redditizi al di fuori dei mercati azionari.
Quadri normativi contrastanti ma strutturanti
Negli Stati Uniti, l'Employee Retirement Income Security Act (ERISA), adottato nel 1974, impone regole severe sulla gestione degli asset, sulla responsabilità fiduciaria e sulla diversificazione degli investimenti. Offre un certo grado di flessibilità nell'allocazione degli investimenti, favorendo investimenti alternativi come il private equity. Questa flessibilità è soggetta all'obbligo di giustificare investimenti adeguati che non mettano a rischio la sicurezza dei beneficiari.
Sebbene vari da Paese a Paese, nel complesso l'approccio normativo europeo rimane più restrittivo e conservativo rispetto agli Stati Uniti. La direttiva europea IORP II, in vigore dal 2016, propone un quadro più severo con maggiori requisiti di trasparenza.
Regolamenti come Solvency II impongono limiti di capitale agli investimenti in attività ad alto rischio, tra cui il private equity. Aumentando i requisiti di copertura di questi investimenti, considerati rischiosi, alcuni fondi sono scoraggiati dall'allocarvi una quota significativa del loro portafoglio. Questa situazione frena la crescita del private equity, che ha performance migliori e più stabili di altre asset class in termini di rendimento.
Gli Stati Uniti continuano a favorire il private equity
Le disparità tra Stati Uniti ed Europa si sono intensificate dal 2020. Il Dipartimento del Lavoro statunitense ha poi chiarito la possibilità per i fondi di incorporare investimenti alternativi per soddisfare gli obblighi fiduciari di diversificazione. Questo allentamento ha intensificato l'adozione del private equity. Con una maggiore libertà di gestione delle allocazioni, i fondi statunitensi hanno più spazio di manovra, in linea con la loro necessità di adattarsi alla volatilità dei mercati azionari.
D'altro canto, i severi requisiti europei in termini di governance, trasparenza e gestione del rischio rendono più complessa l'adozione del private equity. Sebbene alcune giurisdizioni europee, come il Regno Unito e la Svizzera, stiano adottando un approccio più flessibile, il boom del private equity è ancora agli inizi.
Verso una maggiore flessibilità in Europa?
Di fronte al successo del private equity negli Stati Uniti, ma anche ai crescenti rendimenti associati a questi investimenti, alcuni operatori europei chiedono una riforma normativa. Le discussioni tra Stati Uniti ed Europa, attraverso l'iniziativa ELTIF (European Long-Term Investment Funds), stanno attualmente esaminando una maggiore armonizzazione e una maggiore flessibilità delle normative europee.
Altre iniziative recenti hanno incoraggiato i fondi europei ad adottare approcci più flessibili all'allocazione degli investimenti, garantendo al contempo il rispetto di criteri di governance e trasparenza rafforzati. La tendenza è quindi quella di un quadro rigoroso, ma adattato alle realtà del mercato. I legislatori europei rimangono tuttavia cauti, e a ragione. Queste questioni hanno un impatto diretto sulla stabilità dei fondi e sulla protezione dei beneficiari.
Il futuro del private equity in Europa dipende quindi dalla capacità delle autorità di regolamentazione di trovare un equilibrio tra la sicurezza degli investitori e le opportunità di investimento a lungo termine. Mentre gli Stati Uniti dimostrano che un approccio più flessibile sta dando i suoi frutti, l'Europa procede a passo di lumaca, spianando gradualmente la strada a questi investimenti.
40 https://www.allnews.ch/content/news/les-fonds-de-private-equity-investissent-%C3%A0-nouveau-massivement-dans-la-sant%C3%A9#:~:text=Au%20total%20cinq%20transactions%20ont,pour%20la%20r%C3%A9gion%20Asie%2DPacifique.